Il 24 settembre 1986 apparve su di un quotidiano belgradese (Večernje Novosti) un articolo su di un Memorandum dell’Accademia serba della Scienze e delle Arti, a proposito della posizione della Serbia in Jugoslavia. Negli ultimi trenta anni tale documento (peraltro si trattava di una bozza, dato non irrilevante) è stato associato, innumerevoli volte (da studiosi e non), alla politica di Slobodan Milošević, al nazionalismo serbo, ed alla distruzione della federazione jugoslava. In altri termini, il Memorandum è stato percepito ed interpretato come la base ideologica della politica del leader dei comunisti di Serbia nella sua scalata verso il potere, fondata, appunto, sul nazionalismo serbo.
Le critiche verso il Memorandum, in Jugoslavia, hanno avuto due fasi iniziali: ovviamente nell’autunno del 1986 e nei mesi immediatamente successivi. Tuttavia, dopo una fase di relativo oblio mediatico, tornarono alla ribalta nel 1989. Successivamente la questione del Memorandum venne ripresa, soprattutto a partire dal 1991, anche da osservatori stranieri (giornalisti e ricercatori), giungendo così, in qualche modo, anche al pubblico occidentale. La questione del Memorandum ha assunto un carattere quasi mitologico, e ancora oggi nello spazio post-jugoslavo, al di fuori dei confini della Serbia, ha una valenza simbolica profondamente negativa per indicare, con timore, il risorgere di politiche nazionaliste serbe (queste ultime dovrebbero storicamente essere poste sulla scia del Načertanje del XIX secolo).
Il titolo dell’articolo originale sul Memorandum, apparso il 24 settembre 1986 [Ponuda beznađa – L’offerta della disperazione]. Foto dell’autore.
Senza alcuna pretesa di esaustività in merito al tema in oggetto, in occasione del trentesimo anniversario, è desiderio di chi scrive condividere il lavoro svolto (tratto dalla tesi dottorale, stilata a cavallo tra il 2012 ed il 2013), frutto di ricerche d’archivio sul campo condotte nel 2011-2012, sebbene iniziate indipendentemente già nel 2005. Il testo che segue deve essere inteso come un tentativo di storicizzare quegli eventi, contestualizzarli, con mente sgombra da pregiudizi e senza mirare ad apologie di sorta. In altre parole è un tentativo di comprensione del Memorandum nel contesto storico della Serbia del 1986, e della reazione dei vertici politici (serbi e jugoslavi) ad esso. In sintesi, il Memorandum appare come un sintomo di un malessere della società serba e jugoslava, iniziato con la crisi economica alla fine degli anni ’70 del secolo scorso (sebbene non riconducibile unicamente a questo fenomeno). Un documento che sostanzialmente, nei contenuti, non aggiunse nulla di radicalmente nuovo sulla posizione di alcuni (ben noti) critici del regime. Lo scoppio del caso mediatico nel settembre del 1986, in quanto tale, probabilmente, dovrebbe essere inteso come l’indice di una delle numerose lotte tra le fazioni politiche all’interno della Lega dei comunisti, piuttosto che un efficace tentativo di reprimere la dissidenza. Un documento, infine, che con il senno del poi, è stato additato come il piano d’azione politica di Milošević negli anni successivi. Ma che, in quel 1986, difficilmente avrebbe potuto esserlo. Più realisticamente, alcune idee del documento, ben presenti in parte dell’opinione pubblica in Serbia a metà degli anni ‘80, vennero adattate e cooptate dal regime per ottenere il supporto e la legittimità, in un momento di profonda crisi del regime stesso. Il tutto però avvenne gradualmente e, a seconda delle circostanze del momento, senza cesure immediate. I punti di rottura, della radicalizzazione del clima politico e delle numerose epurazioni dal partito, in questo senso, furono simbolicamente due: l’ottava sessione del Comitato centrale della Lega dei comunisti di Serbia nel settembre 1987 (vittoria del clan politico di Milošević in Serbia, province escluse), e l’adunata ad Ušće del novembre 1988 (icona delle mobilitazioni di piazza contro le legittime dirigenze della Vojvodina e del Kosovo – ed anche della Repubblica socialista del Montenegro – sfociate il 28 marzo 1989 con gli emendamenti costituzionali della Serbia, che ridussero drasticamente l’autogoverno delle due province, e la nota commemorazione a Kosovo Polje del 28 giugno 1989).
Detto ciò, è evidente che la politica perseguita dalla Lega dei comunisti della Serbia nel periodo compreso tra il 1987 ed il 1989, durante la fase della cosiddetta “Rivoluzione antiburocratica”, ha ripreso numerosi elementi del Memorandum, ossia dell’ideologia nazionalista serba. Ed è altrettanto evidente che l’impatto di tali politiche, costituite da una serie di “colpi di stato” (sostenuti da Belgrado) nei confronti dei legittimi vertici politici in Vojvodina, Kosovo e Montenegro, avvenute nel più totale e assordante silenzio dell’Armata popolare jugoslava, e con il tacito interessato assenso delle altre repubbliche jugoslave (eccezion fatta, in parte, per la Slovenia di Milan Kučan, e dell’ideologo croato Stipe Šuvar), contribuirono ad un profondo clima di sfiducia, paura, confronto e radicalizzazione della retorica, sino a giungere al punto di non ritorno del 1991, e dei tragici eventi che seguirono.
Il Memorandum nel suo contesto storico e la reazione dei vertici politici
L’élite politica serba, seguendo il pensiero marxista dell’ideologo jugoslavo Edvard Kardelj (Sloveno, artefice della Costituzione jugoslava del 1974), cercava un’alleanza e l’inclusione degli intellettuali nella sfera politica, alla ricerca di nuove soluzioni alla crisi, in grado di fornire risposte ai nuovi problemi, all’interno del sistema socialista. L’Accademia delle Scienze di Serbia non era certo un’eccezione e fu così dunque che nel corso del 1985, venne formalmente istituita una commissione, dietro invito della presidenza della repubblica serba (presieduta da Ivan Stambolić) al fine di analizzare la situazione economica e sociale della Serbia e del Paese; il frutto del loro lavoro era destinato esclusivamente ai vertici politici della Repubblica (della Serbia). A tale attività, lecita e legittimata dal potere politico, si affiancò una seconda commissione di accademici, legati ad altri circoli intellettuali, ed in particolare al Comitato per la difesa della libertà di pensiero ed al Pen Club, particolarmente attivi nell’ambito dei diritti umani, che solevano tenere riunioni sulla sorte sventurata, (a detta loro), dei Serbi del Kosovo – finendo così coll’essere connotati come nazionalisti; ciò che rendeva la situazione praticamente illecita era il loro essere dissidenti nei confronti del regime.
I servizi di sicurezza jugoslavi (Služba državne bezbednosti – SDB) monitoravano costantemente e con dovizia di particolari i nemici dello Stato, inclusi naturalmente i membri dell’Accademia che avevano preso parte ai lavori della commissione sopraddetta. Secondo il Consiglio federale per l’ordine costituzionale (di fatto il vertice dei servizi di sicurezza), v’era una stretta connessione tra il ‘Comitato per la difesa della libertà di pensiero ed espressione’ e l’Accademia, con lo scopo deliberato di condurre un’opposizione anticomunista. Il gruppo di dissidenti che organizzava le petizioni e le proteste a Belgrado, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle condizioni dei Serbi del Kosovo, fu in grado di trovare rifugio sotto l’ombrello istituzionale dell’Accademia stessa. Questo secondo gruppo di intellettuali diede l’avvio ai lavori di una seconda commissione, il cui scopo era quello di produrre un “Memorandum sulla posizione della nazione serba nella cultura e nell’educazione in Kosovo.” I membri della commissione, secondo i servizi di sicurezza, erano: Dobrica Ćosić, Pavle Ivić, Predrag Palavestra, Mihajlo Marković e Dimitrije Bogdanović.[1] Dobrica Ćosić, noto intellettuale serbo, in particolare per i suoi romanzi patriottici, ha sempre negato una sua partecipazione attiva ai lavori della commissione, ed anche i suoi colleghi accademici ed intellettuali hanno avallato le sue dichiarazioni, sebbene fosse a tutti chiaro che, dati i contenuti e le idee del Memorandum, doveva necessariamente esserci stato un suo coinvolgimento, diretto o indiretto. Per la precisione, Ćosić dichiarò semplicemente di aver fornito le sue impressioni sui lavori della commissione[2], ammissione con ogni probabilità volta a difendersi da probabili sanzioni penali da parte del regime.
Nel Settembre del 1986, la dirigenza comunista serba, nell’intento di contrastare il crescente movimento di opposizione, legato al gruppo di intellettuali, lanciò una nuova campagna di propaganda. Milošević stesso ebbe un incontro all’inizio di Settembre con i principali giornalisti e caporedattori della capitale, cercando di coordinare la campagna mediatica.[3] Il 24 Settembre apparve un breve articolo sul quotidiano belgradese Večernje Novosti (notizie della sera), all’epoca quello con la maggior tiratura nella capitale, recante la firma del giornalista Aleksandar Đukanović, che attaccava con toni aspri il Memorandum (sino ad allora del tutto ignoto all’opinione pubblica). Il documento ancora non era stato pubblicato, e formalmente, ad esclusione degli addetti ai lavori e di una ristretta cerchia di politici, nessuno ne era a conoscenza. Essenzialmente il giornalista trasse alcune delle parti più compromettenti, agli occhi del regime, della bozza del testo, bollandolo come libercolo frutto di un bieco nazionalismo. La causa principale dei problemi della Jugoslavia e della Serbia in particolare, secondo gli artefici del Memorandum, era la Costituzione jugoslava del 1974, che avrebbe innescato un grave problema di disintegrazione nel Paese, la cui valenza simbolica era chiara: veniva auspicato un ritorno ad un maggiore accentramento dei poteri (negando così la politica di Tito dell’ultimo ventennio circa).
La versione del documento oggi nota, pubblicata ufficialmente dalla SANU stessa a metà degli anni ’90, è leggermente ridotta rispetto alla bozza originale. Infatti, secondo i servizi, la versione di lavoro era composta di 150 pagine, che vennero ridotte successivamente a 74. Di queste 74 pagine, 30 erano pronte (nella seconda metà di Settembre circa) ad andare in stampa, mentre le 44 rimanenti erano in fase di revisione, e fu proprio allora che Đukanović pubblicò l’articolo. Proprio a breve distanza dall’ultimazione dei lavori per la pubblicazione del documento, venne dunque bloccato dalle autorità,[4] sebbene fosse destinato ad uso esclusivo delle autorità stesse e non del pubblico.
Le reazioni dei vertici politici jugoslavo e serbo non si fecero attendere, incluse quelle di Ivan Stambolić (presidente della Serbia) e Dragiša Pavlović (presidente dei comunisti della metropoli belgradese). Stane Dolanc, a capo dei servizi di sicurezza jugoslavi disse in proposito che:
[il] servizio di sicurezza nella situazione in cui ci troviamo non è nella posizione di far rispettare la legge. Il servizio di sicurezza o i servizi di sicurezza sono nella posizione di far rispettare la legge se qualcuno ubriaco in un’osteria dice “abbasso i comunisti”, abbasso questi, abbasso quelli, noi possiamo arrestarlo immediatamente. Il servizio di sicurezza può applicare la legge se qualcuno scrive in strada o su un muro “Kosovo repubblica” [riferito al separatismo albanese], ma il servizio di sicurezza non può fare nulla contro né [Dobrica] Ćosić, né [Vladimir] Dedijer, né [Kosta Čavoški], e altri quando scrivono una piattaforma sulla distruzione della Jugoslavia.[5]
Probabilmente, Dolanc (per giustificarsi) si riferiva al fatto che la presenza di sentimenti contrari al regime socialista ed alla Jugoslavia fosse un fenomeno talmente diffuso nella società da rendere inefficaci i tradizionali metodi di prevenzione e contrasto adottati dai servizi di sicurezza. Del resto, le idee propugnate dagli oppositori serbi nel Memorandum non erano affatto nuove, dunque è evidente che la censura del regime non fosse in grado di praticare un controllo estensivo sulla circolazione delle idee critiche nei confronti dei governanti. Inoltre, l’iniziativa attuata da Stipe Šuvar circa due anni prima, tramite il Libro bianco (un indice delle opere culturali e artistiche colpevoli di essere controrivoluzionarie, peraltro in gran parte frutto di autori serbi) non diede in concreto alcun risultato.
Milošević, il giorno successivo alla pubblicazione dell’articolo di Đukanović, durante una sessione della Presidenza del partito serbo, affermò che:
…non è una persona normale e assennata [chi crede] che l’intera Jugoslavia possa supportare una linea nazionalista, la linea nazionalista di Dobrica Ćosić e del gruppo dell’Accademia delle Scienze.[6]
Stane Dolanc, Slobodan Milošević e Azem Vllasi non furono sorpresi dai contenuti del Memorandum, ben noti al pubblico jugoslavo sin dalla fine degli anni ’70, bensì dall’audacia nell’organizzare sistematicamente tali contenuti, fornendo a certe idee nazionaliste serbe una forma strutturata con un chiaro intento politico. Milošević tenne volontariamente un basso profilo perché, forse, ritenne opportuno non fare pubblicità alle idee del Memorandum nei confronti dell’opinione pubblica.[7] Milošević voleva così dimostrare che la Lega dei comunisti fosse il reale detentore del potere e pertanto avesse il diritto esclusivo di creare l’agenda politica, in quanto unica istituzione a cui fosse consentito di offrire delle risposte ai problemi socio-politici ed allo scontento popolare. In secondo luogo Milošević credeva, apparentemente, che l’inclusione degli intellettuali nella soluzione della crisi in atto fosse di primaria importanza, perché essi avevano la conoscenza ed il sapere per superare la crisi economica all’interno del sistema socialista autogestito jugoslavo.
A partire dall’autunno del 1986, il silenzio pubblico di Milošević venne, forse erroneamente, interpretato come una forma di assenso del leader serbo alle idee contenute nel Memorandum. In realtà Milošević parve nettamente contrario a tali idee, come si è visto, perché percepiva gli autori del documento come dei potenziali pericolosi rivali politici, che gli avrebbero potuto causare problemi di ordine pubblico a Belgrado e in Serbia.
Va inoltre sottolineato che nel gennaio 1986 (otto mesi prima della campagna contro il Memorandum), Milošević, in occasione della sua candidatura a futuro presidente del Politburo serbo, venne accusato da Petar Živadinović (anch’egli membro del Politburo serbo, impiegato presso la TV belgradese) di aver installato un nuovo direttore (Dača Marković) del Centro marxista di Belgrado in maniera inappropriata, senza seguire lo statuto allora vigente, e senza informare i membri belgradesi del Comitato centrale.[8] Živadinović asserì che in seguito alla nomina del nuovo direttore del Centro marxista belgradese (appuntato da Milošević dopo esser divenuto presidente del comitato belgradese della Lega dei comunisti della Serbia, nel 1984) ossia Dača Marković, la “lotta ideologica” ovvero la propaganda comunista contro gli oppositori ed i dissidenti, ed in particolare gli intellettuali, diminuì, in un momento in cui avrebbe dovuto “intensificarsi” e “crescere.” Curiosamente, Živadinović affermò che nonostante Dača Marković avesse adottato uno stile molto aspro nel criticare i presunti avversarsi ideologici, allo stesso tempo tacque (ben prima del caso del Memorandum) “continuamente sull’Accademia delle Scienze Serba.” Ciò anche quando “vi sono ragioni per criticarla.”[9] Se si considera che all’epoca l’Accademia era considerata complice nel proteggere i dissidenti dal regime, e se si tiene a mente il silenzio in pubblico di Milošević nel Settembre del 1986, si potrebbe ritenere che già dal 1984-1985, Milošević (tramite il direttore Dača Marković) non volesse attaccare frontalmente gli accademici rei di cospirare ai danni del regime. Anche volendo considerare attendibili le affermazioni di Živadinović (che peraltro appoggiava un altro candidato alla Presidenza della Lega dei comunisti della Serbia), resta arduo in base alle informazioni disponibili, affermare che effettivamente Milošević fosse in quella fase esplicitamente colluso con gli accademici e dunque con i dissidenti. Inoltre i sostenitori di Milošević, tra cui vari ex-partigiani, come ad esempio Nikola Ljubičić – eroe nazionale jugoslavo – lo apprezzarono proprio per aver combattuto in egual misura tutti i nazionalismi (incluso quello serbo). In assenza di ulteriori prove, non sarebbero altro che affermazioni puramente speculative ed infondate.
D’altro canto è evidente che almeno dal 1984, due anni prima della stesura del Memorandum, egli condivideva molte delle idee di natura economica sul ruolo deleterio della frammentazione del mercato jugoslavo.[10] Se si considera che Milošević entrò in politica a tempo pieno nel 1984 e che, dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso, ricoprì vari ruoli in qualità di direttore di aziende e in ultimo come direttore di banca, inoltre, il fatto stesso che fosse uno dei membri della commissione Kraigher, finalizzata alla soluzione dei problemi economici dell’economia jugoslava, non può stupire dunque la sua condivisione di certe idee economiche volte ad una maggiore integrazione del mercato interno jugoslavo.
Infine, la percezione del fallimento di un modello economico confederale, che avrebbe spinto il Paese a certe forme sorpassate di autarchia, era ben presente nell’ambiente socio-culturale della Serbia degli anni ’80 (in contrasto con altre idee e percezioni nelle Repubbliche nord-occidentali, come la Slovenia e la Croazia). Il Memorandum dunque, come accennato in precedenza, non aggiunse o affermò nulla di nuovo o inusuale nel discorso culturale della Serbia di quel tempo. L’attacco contro l’Accademia serba e certi accademici in particolare, fu probabilmente un “danno collaterale” della propaganda ideologica comunista contro un’opposizione embrionale al regime. Fu inoltre, il probabile esito di una strisciante lotta tra fazioni politiche interne alla Lega dei comunisti stessa, che si dispiegheranno con forza nel 1987. Nei mesi successivi, durante la primavera del 1987, Milošević delineò una strategia politica che riscosse un ampio successo in termini di consenso e legittimità: una politica demagogica, il cui perno era la situazione dei Serbi del Kosovo.
Christian Costamagna
[1] ARS, AS 1589/IV, CK ZKS, t.e.1329, Magnetogram skupne seje P SFRJ in P CK ZKJ-28.10.1986, allegato redatto dal Savezni Savet za Zaštitu Ustavnog Poretka, “Neki političko-bezbednosni aspekti pokušaja organizovanih grupnih dolazaka srba i crnogoraca iz SAP Kosova u Beogradu”, Beograd, 15 Jul 1986, p. 6. Secondo i servizi di sicurezza jugoslavi, il fervore degli intellettuali nazionalisti di Belgrado era in prima istanza volto ad attaccare il socialismo in Jugoslavia, anziché mosso dal loro reale interesse per le sorti dei Serbi del Kosovo, p. 4. Ćosić, Palavestra e Bogdanović all’epoca – autunno 1986 – non vennero menzionati dalla SANU. Cfr. Audrey Helfant Budding, Serbs intellectuals and the national question, 1961-1991 (Tesi dottorale, Harvard University, 1998), p. 311.
[2] Cohen, Serpent in the Bosom, cit., p. 58.
[3] AS, P CK SKS, k. 518, Deveta Sednica Predsedništva Centralnog Komiteta Saveza komunista Srbije. Beograd, 25. September 1986 godine, p. 21/3.
[4] ARS, AS 1589/IV, CK ZKS, t.e.1329, Magnetogram skupne seje P SFRJ in P CK ZKJ-22.10.1986, [Discorso di Stane Dolanc, capo del Consiglio federale per la protezione dell’ordine costituzionale], p. 30. La sezione (sulla questione socio-economica), pubblicata a Londra nel Novembre/Dicembre 1986, era composta da circa 25 pagine (la parte sulla nazione serba era di 23 pagine circa), cfr. Mihailo V. Mikich (ed.), Memorandum Srpske Akademije Nauka i Umetnosti (London: Biblioteke Svetosavlje Novembre/Dicembre 1986, http://icr.icty.org). La sezione socio-economica del Memorandum pubblicata dalla SANU nel 1995 è composta da 26 pagine (la parte sulla nazione serba è di 23 pagine), cfr. Kosta Mihailović, Vasilije Krestić, Memorandum of the Serbian Academy of Sciences and Arts. Answers to criticism (Beograd: SANU, 1995). Si può ragionevolmente ipotizzare che la parte che allarmò i censori del regime fu proprio quella dedicata alla posizione della nazione serba in Jugoslavia e non quella legata agli aspetti economici.
[5] ARS, AS 1589/IV, CK ZKS, t.e.1329, Magnetogram skupne seje P SFRJ in P CK ZKJ-22.10.1986, [Discorso di Stane Dolanc, capo dei servizi di sicurezza jugoslavi ovvero del Consiglio federale per la protezione dell’ordine costituzioanale], p. 27.
[6] AS, P CK SKS, k. 518, Deveta Sednica Predsedništva Centralnog Komiteta Saveza komunista Srbije. Beograd, 25. September 1986 godine, p. 22/3.
[7] Dejan Jović spiega chiaramente che Milošević “credeva che l’opposizione non andasse trattata come un partner” cfr. Dejan Jović, Yugoslavia: a state that withered away (West Lafayette, Indiana: Purdue University Press, 2009), pp. 252-253.
[8] AS, P CK SKS, k. 431, Neautorizovane Magnetofonske Beleške sa 114. Sednice Predsedništva Centralnog Komiteta Saveza komunista Srbije, Održane 24. i 25. januara 1986. Godine, p. 28/1.
[9] AS, P CK SKS, k. 431, Neautorizovane Magnetofonske Beleške sa 114. Sednice Predsedništva Centralnog Komiteta Saveza komunista Srbije, Održane 24. i 25. januara 1986. Godine, p. 28//5.
[10] Politika, 24 Novembre 1984, p. 4. Sulla frammentazione del mercato jugoslavo cfr. Marijan Korošić, Jugoslavenska kriza (Zagreb: Naprijed, 1989), pp. 70-78.
Edizione ufficiale, con una lunga introduzione critica, del Memorandum, e delle reazioni ad esso, pubblicata dalla SANU nel 1995, in lingua inglese. Foto dell’autore.