Guerra del Kosovo: nuove fonti USA. Appunti per una storia.

Prima parte.

 

Quali furono le cause della Guerra del Kosovo? Cosa spinse la NATO ad intervenire? Queste ed altre domande hanno assillato decine di politologi e storici. La letteratura accademica sul tema è assai vasta e non è questa la sede opportuna per sviscerala (è sufficiente effettuare una breve ricerca sugli appositi cataloghi online). Tuttavia, persiste una certa credenza che tende ad identificare i bombardamenti sulla Repubblica Federale di Jugoslavia nel 1999 come una qualche manovra “geopolitica” volta all’espansione dell’Alleanza atlantica a scapito della Russia, oppure per controllare eventuali oleodotti, gasdotti e vie di comunicazione verso l’Oriente.

La Biblioteca della Fondazione Clinton, su richiesta della BBC, ha recentemente rilasciato sul proprio sito un file contenente oltre 500 pagine di trascrizioni di decine telefonate tra Bill Clinton e Tony Blair, condotte tra il 1997 ed il 2000. Le conversazioni tra i due capi di Stato, in quanto tali, possono essere considerate un insieme di fonti valide per la Guerra del Kosovo, sebbene con alcune avvertenze. In primo luogo si tratta di una serie, probabilmente inconsistente, di telefonate avvenute tra Clinton e Blair; ciò implica che ve ne possano essere altre non accessibili. In secondo luogo, tali trascrizioni sono pesantemente censurate, soprattutto quando pare che i toni della telefonata si facciano potenzialmente più interessanti e ricchi di dettagli. In terzo luogo occorrerebbe confrontare le trascrizioni delle telefonate tra Clinton ed i capi di Stato della Francia, della Germania e della Russia (in particolar modo), nello stesso lasso temporale. Infine, sarebbe necessario verificare i documenti delle discussioni interne allo staff della Casa Bianca, tra Clinton ed i suoi collaboratori, e quelle tra loro e gli altri Dipartimenti (ministeri) americani, in particolar modo quello della Difesa e degli Esteri. Insomma, la “nuova fonte” in questione è lungi dall’offrire un quadro di completezza, anche perché è altrettanto necessario confrontare la suddetta mole di dati con la letteratura esistente, e valutare se, eventualmente, possa emergere una nuova interpretazione degli eventi storici, una nuova tesi insomma.

Le fonti rilasciate dalla Fondazione Clinton, in linea generale, vanno in qualche modo a confermare la tesi prevalente (ossia un intervento volto a bloccare l’ennesimo episodio di pulizia etnica in ex Jugoslavia negli anni ’90), oltre a fornire qualche interessante dettaglio. Ovviamente, le parti inerenti al Kosovo sono concentrate tra la fine del 1998 ed il 1999.

Ciò che emerge, in origine, è un Bill Clinton refrattario rispetto all’intervento armato, ne avrebbe fatto volentieri a meno. Nell’autunno 1998, il Presidente americano maturò la convinzione che una reale minaccia di ritorsione militare verso la Jugoslavia (governata da Slobodan Milosevic), convincesse quest’ultimo a desistere dall’utilizzo indiscriminato delle forze di sicurezza verso i civili in Kosovo. Di seguito si vedranno alcuni passaggi salienti di una telefonata avvenuta nell’estate del 1998.

Clinton_Blair

Il 6 agosto 1998 (pag. 171 e segg. del documento *.pdf – d’ora in poi verrà riportato solo il numero delle pagine citate), Clinton esprime le proprie preoccupazioni a Blair, perché reputa che le forze di sicurezza di Belgrado non si limitino ad eliminare i militanti dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK in Albanese), bensì stiano conducendo una “campagna sistematica contro la popolazione civile”, con il rischio di una “grande catastrofe umanitaria”. Il Presidente americano era persuaso che Milosevic stesse agendo nella convinzione che una reazione della NATO fosse praticamente impossibile, perché avrebbe richiesto una risoluzione delle Nazioni Unite, e la Russia, in quanto membro del Consiglio di Sicurezza, non avrebbe avallato un simile piano. Clinton avrebbe quindi voluto elaborare un piano condiviso per rendere credibile la minaccia di ritorsioni da parte della NATO e indurre Milosevic a fare marcia indietro, imponendogli un ultimatum e “ristabilire l’autonomia del Kosovo”.

Clinton avrebbe voluto realizzare il proprio piano sotto l’egida delle Nazioni Unite, tuttavia era conscio che la Russia non l’avrebbe concesso e ne sarebbe sorto uno scontro diplomatico. Nel ragionamento politico del Presidente USA, coinvolgere la Russia di Boris Eltsin all’interno dell’ONU sarebbe stato un grave errore, perché avrebbe messo in imbarazzo ed ulteriormente indebolito l’ex rivale post-sovietico. Clinton nutriva un certo rispetto per Eltsin, sapeva che in quella fase il Presidente russo aveva problemi di salute, mentre l’economia del Paese era molto debole. Forzare la Russia a prendere una decisione sarebbe stato pericoloso perché se la Russia si fosse astenuta nel Consiglio di Sicurezza, avrebbe fortemente indebolito politicamente Eltsin a casa propria. D’altro canto, puntare su di un veto supportato da Primakov, avrebbe isolato la Russia dal resto della Comunità internazionale in un momento di grave necessità (172).

Clinton, prendendo spunto dalle minacce agli osservatori internazionali in Kosovo da parte delle forze di Belgrado, prese in considerazione l’idea di far incriminare Milosevic sotto il profilo della legalità internazionale, sfruttando i precedenti accumulati nel corso degli anni dal Presidente serbo, tra cui “la minaccia alla pace ed alla sicurezza internazionali” e le “atrocità umanitarie” compiute in Bosnia ed Erzegovina. Il Presidente USA non era sicuro però di poter convincere, sotto questo punto di vista, l’alleato Blair e, soprattutto, il Presidente francese Chirac ed il Cancelliere tedesco Kohl.

Clinton è convinto dunque che il male minore sia quello di violare la legalità internazionale, ossia agire senza una Risoluzione ONU, pur di non danneggiare Eltsin. Il Presidente americano ribadisce a Blair la sua genuina preoccupazione sui rischi di quanto potrebbe accadere se le forze di sicurezza di Belgrado non venissero bloccate. Parla di voci non confermate a proposito di fosse comuni con centinaia di corpi, e lamenta il fatto che l’UCK stia tentando di coinvolgere gli USA nel conflitto. Infatti, Clinton afferma che gli insorti albanesi stessero cercando di far sì che l’America divenisse la forza aerea dell’UCK per poter così ottenere l’indipendenza dalla Serbia (all’epoca parte della Repubblica federale di Jugoslavia). Egli aggiunge che non vuole che si ripeta un’esperienza analoga a quella che si era recentemente conclusa in Bosnia (nel 1995 con gli accordi di Dayton), e non desidera che un conflitto civile si ripercuota nuovamente su un’altra popolazione musulmana, ossia gli Albanesi del Kosovo (173).

Come si evince anche da una successiva telefonata con il premier britannico (27 agosto 1998), Clinton era seriamente preoccupato che la debolezza fisica e politica di Eltsin, potesse portare ad una involuzione in Russia: “se essi [i Russi] avranno un leader dittatoriale, sarà molto più difficile trattare con loro sul Kosovo […]” (190). Dunque, per l’America la futura scelta di agire al di fuori della legalità internazionale con la NATO contro la Repubblica Federale di Jugoslavia – certamente uno dei punti più roventi all’interno delle critiche mosse all’epoca e successivamente agli USA, venne dettata da logiche di politica internazionale, ossia (in ultima istanza) evitare una nuova dittatura in Russia (peraltro Clinton temeva che quest’ultima stesse “diventando come l’Africa”, ossia pur ricevendo i prestiti dal Fondo Monetario Internazionale, c’era una costante fuga di capitali verso l’Europa), con conseguente instabilità regionale e globale. Inoltre trapela, da parte del Presidente americano, un certo disagio nonché determinazione nel voler evitare un conflitto civile (dopo l’esperienza bosniaca – Sarajevo, Srebrenica ecc.) in cui fosse un popolo di fede islamica ad essere vittima.

Nei prossimi episodi si vedrà come non ci fosse l’intenzione di liquidare fisicamente Milosevic (ritenuto un folle), quanto piuttosto si immaginava una sua eventuale fuga in Russia o Bielorussia (in effetti i suoi famigliari, dopo la caduta del regime, trovarono rifugio a Mosca), sebbene non escludesse affatto una sua permanenza al potere. Si vedrà dei timori di Clinton derivanti dall’esperienza drammatica in Somalia, dei timori di “talpe” nella NATO (nel fornire la lista degli obiettivi alla Serbia), della paura che i Russi fornissero armi ai Serbi, della gestione del flusso di profughi provenienti dal Kosovo (si reputava che 1.000 $ di spesa per profugo, se comparato alle spese in armi, non fosse molto), della forte attenzione rivolta verso i media (nel comunicare il conflitto in maniera “corretta”) e altro ancora. Per inciso, Clinton era turbato dal fatto che durante i bombardamenti i media italiani (e l’opinione pubblica) fossero troppo blandi nel sostenere l’operazione della NATO.

Fine del primo episodio.

Christian Costamagna

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