Riprendo di seguito alcuni commenti che ho scritto ad un lettore di East Journal. Spero possano servire per una riflessione più ampia.
Caro Ivan, comprendo la tua analisi da un punto di vista della realpolitik o, molto più banalmente, dei rapporti di forza tra le grandi potenze verso piccoli territori. E’ indubbiamente vero che Putin nel 2008 sostenne che il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo avrebbe creato un grave precedente. Tuttavia, a mio modo di vedere, occorre fare dei distinguo. Nel 1999, al potere, a Belgrado, c’era Milosevic. La politica di Milosevic nei confronti del Kosovo e delle altre repubbliche jugoslave, ha contribuito a fomentare l’escalation dei conflitti (non fu l’unico). In particolare, durante la guerra in Bosnia ci furono oltre 100mila morti. Il conflitto in Bosnia è terminato nel 1995. A partire dal 1998, nuovamente c’era un elevato conflitto in Kosovo tra ribelli albanesi e truppe serbe. Il rischio di nuovi massacri e di nuovi sfollati e profughi era molto elevato, di fatto stava già avvenendo nell’inverno 98/99. Gli albanesi in Kosovo erano ampiamente discriminati dalle autorità di Belgrado.
Definire affrettato il riconoscimento dell’indipendenza nel 2008 da parte dell’Occidente, considerando le dinamiche in atto (in Kosovo, appunto) dal 1981 al 2008, mi pare non renda appieno l’idea. Cos’altro avrebbe dovuto fare la Comunità internazionale per cercare di risolvere il nodo gordiano venutosi a creare sul terreno? Se ne è discusso, senza esito, per un intero decennio. Detto questo, in Crimea, invece, non mi risulta che la popolazione russa fosse vessata, vittima di apartheid, uccisa, scacciata dalle proprie case in massa e così via. Al di là della legittimità o meno del riconoscimento, che non ha nulla a che vedere con il diritto internazionale bensì rispecchia, appunto i rapporti di forza, paragonare il supporto ed il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo con quella della Crimea mi pare fuorviante. In una battuta: il governo di Kiev non ha discriminato e represso per vent’anni i russi in Crimea. Il governo di Kiev non ha alimentato per una decade conflitti in stati limitrofi. Peraltro, nessuno stato ha annesso il Kosovo, ad esempio, all’Albania, mentre invece la Crimea è stata subito annessa alla Russia. Anche la Cecenia potrebbe essere una sorta di Kosovo, però Mosca ha avuto la forza e i deterrenti nucleari per evitare ciò che è accaduto a Belgrado (bombardamenti da parte di un’alleanza straniera, occupazione e distacco di parte del territorio nazionale).
In tutto ciò credo rientri anche una dimensione etica, morale, di valori. Per farla breve, è meglio vivere in un regime politico come quello dell’Europa occidentale, dove il cittadino gode, tutto sommato, di notevoli diritti e tutele, oppure nel regime russo retto da Putin? Da un punto di vista prettamente relativistico, potrei dire che ognuno è libero di scegliere il modello favorito.
E’ vero, Milosevic non nasce nazionalista. Milosevic era un pezzo dell’apparato comunista jugoslavo. A partire dal 1986, con una forte accelerazione tra il 1987 ed il 1988, per timore di perdere legittimità e consenso, coopta e avalla le istanze dei serbi del Kosovo, che sostenevano di essere spinti all’emigrazione a causa di vessazioni compiute da parte degli albanesi (vero in parte). Ne parlo diffusamente qui. Sebbene Milosevic in una prima fase intendesse salvare il regime socialista, per quanto non fosse diventato all’improvviso un cetnico, all’atto pratico, promosse e permise delle politiche di chiara impronta nazionalista. E’ sufficiente vedere quanto è accaduto in Kosovo, Croazia e Bosnia.
In secondo luogo, storicamente, il concetto di nazionalismo e socialismo reale vanno spesso a braccetto. Da ciò ne deriva che Milosevic non è diventato nazionalista quando le organizzazioni terroristiche (come tu le definisci) sostenute da alcuni membri NATO e dalle Monarchie del Golfo hanno iniziato a destabilizzare la Jugoslavia. E’ accaduto almeno 4 anni prima. La Jugoslavia si è destabilizzata da sola.
Quando lo stato Jugoslavo, a causa delle divisioni interne, è diventato una carogna, sono iniziati a giungere gli avvoltoi dall’estero, ma come conseguenza, non come causa. Insomma, quando il problema jugoslavo era troppo grave per non essere internazionalizzato. Inoltre una puntualizzazione: gli avvoltoi non provenivano solamente dall’Occidente o dal Medio Oriente, bensì anche da Mosca, come Igor Strelkov e compagni dimostrano. Un conflitto è come un magnete per gli squilibrati e i folli. Detto ciò, è evidente che sussistano delle responsabilità anche da parte di altri attori locali: penso a Tudjman, ma non solo. Belgrado, negli anni ’90, ha agito e reagito, si è comportata con l’arroganza di una grande potenza senza esserlo. La violenza di stato e la repressione verso le minoranze etniche, in Serbia ma anche in Croazia o nel resto del mondo, per quanto mi riguarda, sono immorali.
Le politiche adottate da Milosevic a partire dal 1991 circa, e proseguite sino alla sua fine politica nel 2000, hanno destabilizzato l’Europa, creando flussi di profughi, morti, operazioni umanitarie ONU (rammento che i serbi di Bosnia presero in ostaggio i caschi blu). Gli Stati Uniti, e non solo, almeno sin dal 1995, per porre fine allo strazio che si consumava quotidianamente nei Balcani (l’opinione pubblica, sensibilizzata dai media sulle carneficine, premeva per un cambiamento dello status quo; Clinton temeva di perdere le elezioni a causa di una scarsa credibilità, anche sul piano internazionale), meditavano su come neutralizzare i politici serbi, nell’impedire loro di fomentare la guerra. I serbi si sentivano dalla parte della ragione, perché si difendevano dagli ustasa, dai terroristi islamici in Bosnia e terroristi irredentisti/separatisti in Kosovo.
Milosevic, nel corso degli anni ’90, e marcatamente nel 1998-2000, mutò nuovamente: emerse il suo aspetto spiccatamente anti-imperialista (non è un caso che nel 1999 Bossi e Cossutta andarono a Belgrado, sostanzialmente lo stesso spettro politico che oggi sostiene Putin in Italia, fatto salvo che il M5S ancora non c’era). Il discorso di fondo era che la Serbia, sanzionata dall’embargo ONU, bombardata dai “nazisti” della NATO, combatteva sola contro tutti (un po’ come l’Italia fascista se vogliamo, però più isolata perché l’Italia aveva l’alleato tedesco).
Tu giustamente mi citi il fatto che per gli Stati Uniti l’UCK era un’organizzazione terrorista: è vero. Quante volte nella storia, per opportunismo o necessità, si è fatto ricorso a organizzazioni di dubbia moralità, per ottenere un fine percepito come alto e nobile? Pensiamo all’utilizzo della mafia in Sicilia da parte degli USA durante la Seconda guerra mondiale. Oppure all’uso di terroristi islamici in Afghanistan contro i Sovietici. Al fatto che nell’ottobre del 2000 vi fossero ad incendiare il parlamento jugoslavo anche gli hooligan e varia teppaglia da stadio. Però, scusa, Milosevic non ha forse utilizzato in Bosnia e Croazia un criminale come Arkan? (salvo poi farlo fuori nel gennaio 2000, assieme ad altre persone scomode). Dov’è la levatura e superiorità morale di Milosevic rispetto all’Occidente? Gli USA hanno utilizzato l’UCK per destabilizzare Milosevic, che a sua volta destabilizzava i Balcani da un decennio.
A partire dalla risoluzione 1244, sino alla proclamazione dell’indipendenza nel 2008 prontamente riconosciuta dall’Occidente, è trascorso un decennio di impasse e frustrazioni. Ricorderai frasi come “il Kosovo buco nero d’Europa”, “Kosovo stato mafia”, il “Kosovo è Serbia” con Kostunica che, cocciuto come un mulo, fomentava quotidianamente l’informazione e l’agenda politica, dimenticando i gravi problemi dell’economia serba. Gli albanesi del Kosovo, dal canto loro, inebriati dal supporto americano, si sono visti a un passo dalla vittoria, ossia l’indipendenza da Belgrado. Cosa importava a loro di “massima autonomia all’interno della Serbia, tutto meno l’indipendenza, facciamo come in Alto Adige” e così via? Dalla risoluzione 1244 in poi, è stato un muro contro muro, nessuno voleva cedere perché altrimenti le elites politiche temevano di perdere credibilità e supporto negli elettori (in quanto “traditori della patria”).
L’Occidente, esasperato, ha forzato la mano nel 2008. Però, da allora, lentamente, grazie alle pressioni di USA/UE, addirittura Dacic e Thaci si incontrano con la Ashton, parlano, discutono, si stringono la mano. Parlano di problemi concreti. Ti pare poco? Per la prima volta, anziché odiarsi, uccidersi, screditarsi, dialogano. Giustamente parli dei serbi del Kosovo e della loro situazione a partire dal 1999. È vero, non se la passano bene e sono intimiditi. Molti se ne sono andati. Ma non è solo per quello, è dovuto alla disastrosa situazione economica del Kosovo. Tuttavia la comunità internazionale è da decenni che cerca di ricostruire il tessuto sociale (pensa a quante ONG si occupano a tempo pieno solo di far dialogare serbi e albanesi).
Per quanto riguarda l’eventuale rispetto dei diritti dei russi in Ucraina/Crimea senza l’intervento di Mosca, non ho una risposta certa. Posso semplicemente domandarmi se realmente Kiev aveva l’intenzione e l’interesse ad inimicarsi sfacciatamente Mosca discriminando i russi in Crimea.
Putin ed il consenso di cui gode rispetto ai leader occidentali: vero, però anche in questo caso è un tema complesso. Di norma, anche i dittatori più feroci, godevano di una certa legittimità. Anche Mussolini ha goduto del consenso di milioni di italiani. Ancora oggi, in Italia, chi grida di più e fa appelli emotivi, tende ad avere un discreto consenso nella popolazione (sommando i più virulenti, oggi in Italia arriviamo forse al 30% degli elettori, se aggiungiamo anche quelli che promettono protesi dentali, ci aggiriamo sul 50%). Il consenso e la legittimità sono fondamentali, su questo non ho dubbi. Il problema è su quali istanze si debba fondare questo consenso. Fondarla su stereotipi, razzismo, discriminazioni non mi pare un buon punto di partenza.
Sulla verità preferirei non esprimermi. Partirei con una modalità più soft: interpretazioni plausibili di eventi, fondate su fonti attendibili. Il resto è opinione non informata oppure una supponenza di natura fideistica o dogmatica.